A titolo esemplicativo dell’importanza del poderoso patromonio archeologico appare significativo quanto scrive l’archeologo Prof. Edoardo Teortorici a proposito dei siti di Santa Venera al Pozzo e di Capopmulini, oggetto di interessanti ricerche e Luoghi di visita di particolare riferimento dei Percorsi di visita proposti dall’istituendo Ecomuseo “Antico Bosco di Jaci”.
SANTA VENERA AL POZZO: Stratigrafie di età preistorica, insediamenti di età greca e romana, fornaci, impianto termale.
I resti monumentali dell’area di Santa Venera al Pozzo sono noti alla letteratura archeologica (soprattutto per le terme, per la presenza di sorgenti di acque termali solfuree e per la chiesa di S. Venera) fin dalla metà del Seicento e poi nel XVIII e XIX secolo, descritti e illustrati da archeologi, studiosi locali, viaggiatori, incisori e pittori di paesaggio con rovine, spesso con riferimenti anche a resti oggi non più visibili[1] (fig. 22).
Gli interventi di restauro e di tutela e le ricerche e gli scavi, dopo i primi interventi degli anni Ottanta del secolo scorso[2], si sono svolti in maniera sistematica dal 1994 fino ad oggi[3] (figg. 23-24). In estrema sintesi, le ricerche condotte hanno permesso di riconoscere strati di occupazione risalenti all’Età del Rame e del Bronzo Antico, l’esistenza di un insediamento di età greca e di un abitato di età romana, identificato con la statio di Acium , citata dall’Itinerarium Antonini lungo la Via Pompeia[4]. Più in particolare, nel settore di NO dell’area archeologica, sono stati scavati i resti di un edificio a carattere abitativo risalente al IV secolo a.C. : la cosiddetta Casa del Pithos, che prende il nome dal grande dolio a corpo ovoide (fig. 25), in cui, all’interno della casa, veniva convogliata l’acqua proveniente da un piccolo ruscello, oggi ormai asciutto.
La sequenza stratigrafica ha chiaramente indicato che l’edificio venne utilizzato a partire dal IV secolo a.C. ed abbandonato nei primi decenni del III secolo a.C. Altre indagini sono state dedicate allo studio di parte di un insediamento di età ellenistica, situato più a NO. Tale abitato, abbandonato all’inizio del III secolo a.C., venne in seguito (I secolo d.C.) occupato da un grande edificio, forse pertinente ad un complesso residenziale e produttivo, di cui sono stati riconosciuti ben trentasette ambienti, organizzati attorno ad uno spazio centrale (fig. 26). All’interno di alcuni di questi ambienti, nel IV secolo d.C., venne costruito un vero e proprio impianto artigianale con tre fornaci a pianta circolare e tiraggio verticale (figg. 27-28), utilizzate (almeno fino alla metà del V secolo d.C.) per la produzione di anfore da trasporto ed altro vasellame, doli, tegole, coppi e laterizi[5] (figg. 29-31).
Altri ambienti erano utilizzati per le varie fasi di produzione ed immagazzinamento dei materiali. È stato inoltre ripreso lo studio del complesso termale (figg. 32-33) con il riconoscimento di due distinte fasi costruttive; alla prima fase, inquadrabile tra il II secolo a.C. ed il I d.C., sono da attribuire una serie di ambienti, condotti e vasche ed un tempietto o sacello in antis[6]. I due grandi ambienti con copertura a botte delle terme oggi visibili, andrebbero invece riferiti ad un completo rifacimento dell’impianto, databile al III/IV secolo d.C.
CAPO MULINI: Tempio, villaggio preistorico, statuaria in marmo, iscrizione, frammenti fittili, tombe.
In via Nissoria n. 47 di Capo Mulini (fig. 46) è visibile una imponente struttura realizzata con una cassaforma in blocchi di lava riempita di calcestruzzo[7] (fig. 47), che, dopo gli scavi di G. Libertini del 1951[8] (fig.48), venne interpretata come edificio templare. Ulteriori precisazioni, a seguito di limitati interventi negli anni 1979-1980, hanno portato al riconoscimento, nella stessa area del tempio, di materiale databile tra il Tardo Neolitico e la prima Età del Rame, riferito ad un insediamento preistorico[9]. Altri scavi, condotti negli anni 2013 e 2014 (figg. 49-50), espressamente mirati alla realizzazione di un nuovo rilievo e di una accurata analisi tecnica del monumento (fig. 51), hanno consentito di individuare le fasi principali dell’area e del tempio in questione. Durante l’asportazione degli strati di interro moderni, sono venuti alla luce numerosi frammenti fittili che, pur non in giacitura primaria, hanno contribuito alla definizione dei diversi periodi di frequentazione.
Risulta confermata l’ipotesi della presenza di un villaggio preistorico (fase 1, fig. 52) e sono state rinvenute chiare tracce di almeno tre fondi di capanne a pianta circolare direttamente impiantate sul banco tufaceo. Altri materiali sembrerebbero testimoniare la presenza nell’area di fasi di frequentazione riferibili all’età arcaica, all’età medio e tardo ellenistica ed a tutta l’età imperiale. All’età tardo ellenistica andrebbe riferito il primo impianto dell’edificio templare (fase 2, fig. 53), che sulla base del rilievo, si propone di ricostruire in antis, con quattro colonne sulla fronte e scalinata centrale (lunghezza, m. 13,38, larghezza, m. 8,73, altezza podio, m. 2,40, rapporto tra lunghezza e larghezza, 1,5 circa).
Particolare interesse riveste un piccolo ambiente rettangolare (m. 1,20 x 2,40: 4×8 piedi romani circa) situato nel pavimento del fondo della cella, che è molto probabilmente una vasca rivestita di marmo, con foro di scarico in terracotta (figg. 54-55). Non è da escludere un utilizzo cultuale di tale struttura, in passato erroneamente interpretata come favissa del tempio[10]. Nell’ultima fase (fase 3, fig. 56), la cui datazione è assai discussa, ma probabilmente riferibile all’età augustea[11], viene aggiunta una scalinata che occupa tutta la fronte del tempio (fig. 57); viene in tal modo ampliato il pronao, che ora si presenta egualmente tetrastilo, ma con due colonne in corrispondenza dei muri della cella (lunghezza, m. 17,32, larghezza, m. 8,73, altezza podio, m. 2,40, rapporto tra lunghezza e larghezza, 2 circa) (fig. 58). L’edifico è oggi quasi del tutto privo dei blocchi di lava del podio e dell’elevato ed ha rappresentato, nei secoli, una sorta di cava a cielo aperto: i blocchi ancora in età moderna sono stati reimpiegati in numerose costruzioni del borgo di Capo Mulini (fig. 59).
Di particolare interesse è l’utilizzo di tali blocchi di lava (spesso ben riconoscibili per le tracce delle grappe) nella costruzione del bastione edificato tra il 1675 ed il 1677 dall’ingegnere spagnolo Carlo Grunembergh per la difesa del porto durante la guerra franco-spagnola[12] (figg. 60-62). Lo studio del tempio, fin dall’inizio, è stato strettamente connesso (soprattutto per la cronologia e l’interpretazione) con il ritrovamento (ancora nel 1675)[13] nella stessa area, di una bella testa marmorea (figg. 63-64) variamente interpretata (Fauno[14], Cicerone[15], Cesare[16], ignoto personaggio dedicante del tempio[17]) e datata dall’età tardo repubblicana al I secolo d.C.[18] Lo studio della testa marmorea è stato affrontato scientificamente per la prima volta da E. Boheringer[19] nel 1933, il quale riconobbe nei tratti del volto la rara immagine di Giulio Cesare negli ultimi anni di vita (43-44 a.C.), delineata nei ritratti monetali coevi[20] (fig. 65). Tale identificazione era rafforzata dal ritrovamento, effettuato nel 1730 da G. Saporita, sempre nelle vicinanze del tempio, di un acroterio (che in realtà è una piccola base) (fig. 66) con l’iscrizione C(aius) Iul(ius) Caesar (fig. 67).
Ulteriori notizie di ritrovamenti sono relative ad alcune tombe rettangolari a fossa di età tardo antica, rinvenute appena a NO del tempio, durante la costruzione del nuovo edificio di culto dedicato a S. Maria della Purità, nel febbraio 1940. A quanto sembra di capire si tratta di un’area sepolcrale rettangolare suddivisa in due file di otto loculi (disposti almeno su due piani) separati da muretti in blocchetti di lava e malta[21] (figg. 68-69).
[1] Cfr. ad esempio, Grasso 1665; Biscari 1781, pp. 22-26; Houel, Ermitage, pp. 133, figg. 96, 98; Vigo 1836, pp. 26-29; Bella 1892, pp. 26-28; Raccuglia 1906, pp. 146-148, 153; Gravagno 1992, p. 34; Pagnano 2001, pp. 72-74, 154-155; Nicotra 2007, pp. 197-198, 204-205, 249, n.79 (laterizio con iscrizione [—]AKIOS).
[2] Spigo 1980-1981; Spigo 1984-1985.
[3] Branciforti 1999; Branciforti 2005; Branciforti 2006; Malfitana et al. 2018.
[4] Cuntz 1990, I, 12; Arnaud 1993: …per Tauromenio Naxo m.p. IX / Acio m.p. XIX – Catina m.p .IX…; per la Via Pompeia, cfr. Sirena 2011.
[5] Oltre alla produzione di numerose forme aperte e chiuse in ceramica comune e di embrici, tegole, tegulae mammatae, mattoni (circolari, a quarto di cerchio, quadrati, romboidali e rettangolari di piccole dimensioni per pavimenti in opus spicatum); è stata anche proposta la pertinenza alle fornaci di Acium di alcuni contenitori da trasporto (Keay LII e LIII e varianti, Late Roman 1a e simili): Amari 2006; Amari 2008; Olcese 2012, pp. 413-414; Amari 2014.
[6] Spigo 1980-1981.
[7] Rimangono poche tracce del pavimento in cocciopesto.
[8] Libertini 1952; PPPC, scheda 16; si presenta in questa sede solamente una sintesi dei ritrovamenti; lo studio approfondito del tempio è stato affrontato in altra parte di questo volume: pp. 00-00 (L. Lanteri, E. Tortorici).
[9] Tomarchio 1980.
[10] Libertini 1952.
[11] Libertini 1952; Bejor 1984, pp. 18-19; Coarelli, Torelli 1984, p. 348; Belvedere 1988; Wilson 1990, pp. 105, 372 nota 303, 297, 411 nota 92.
[12] Sul conflitto franco-spagnolo, Bély 1992; Sonnino 2003; cfr inoltre Gravagno 1992, p. 220.
[13] Gravagno 1992, p. 44.
[14] Vigo 1836, p. 36.
[15] Vigo 1836. 36, 62.
[16] Cfr. nota 78.
[17] Cfr. nota 78.
[18] Bonacasa 1964, p. 28 nota 31, tav. XIV, 1-2; Bejor 1984, pp. 18-19; cfr. inoltre nota 71.
[19] Boheringer 1933.
[20] Novajra 2008, pp. 97-115. Per il denario di L. Aemilius Buca (zecca di Roma, gennaio del 44 a.C.), cfr. Alföldi 1958, pp. 27-44, tav. II.
[21] ASS, Div. II, Capomulini. Lettera su carta intestata della R. Soprintendenza alle Antichità della Sicilia in Siracusa. Prot. 438. Addì 12 marzo 1940-XVI. Ispettore Onorario dei Monumenti e Scavi di Acireale; (lungo il margine sinistro del foglio: alligate tre fotografie). Al R. Soprintendente alle Antichità. Siracusa. Nella vicina frazione di Capo-Mulini, essendosi proceduto alla demolizione della chiesuola per metter mano alla costruzione di un nuovo sacro edificio, si sono venute a scoprire delle tombe, con residui di ossa umane, tanto entro il perimetro della chiesa (fotografia n. 1), quanto nelle immediate adiacenze (fotografie n. 2 e 3). Frammenti di vasetti di coccio mi sono stati altresì mostrati da quel parroco. Si ha ragione di ritenere che, allargando gli scavi, altre tombe in serie si metterebbero in luce. – Tutto ciò ho voluto riferVi, perché decidiate al riguardo: ho fatto intanto sospendere i lavori; ma urge essi siano ripresi ai fini della nuova costruzione. è inutile aggiungerVi che la mia competenza esula assolutamente dalla cosa. Distinti saluti. L’Ispettore Onorario. Dott. Agostino Pennisi (firma). Fotografia allegata n. 1. (sul retro): sotto il pavimento della chiesuola abbattuta, si è rinvenuta questa costruzione, che non corrisponde al perimetro della chiesa, e che era suddiviso in otto scomparti o loculi, già precedentemente manomessi e ridotti a due vani longitudinali. Fotografia allegata n.2 (sul retro): gruppi di loculi nelle adiacenze della chiesa. Fotografia allegata n.3 (sul retro): Uno dei loculi visto dall’alto, longitudinalmente. Si scorge all’interno l’apertura rettangolare, che immette al loculo sottostante.